L’Inter cambia guida tecnica e lo fa in
modo clamoroso, forse anche improvvisato. Dopo l’addio di Simone Inzaghi – più deciso dall’allenatore che dalla società – la panchina nerazzurra passa nelle mani di Cristian Chivu, ex leggenda del Triplete e allenatore con soltanto 1 presenze da professionista, in una breve ma positiva parentesi con Parma. Una scelta che fa discutere, e non poco.
Sul banco degli imputati finisce anche Beppe Marotta, finora architetto infallibile dell’Inter vincente. L’addio di Inzaghi, a cui Marotta aveva rinnovato la fiducia e consegnato le chiavi del progetto, suona come un tradimento personale. Inzaghi ha preferito voltare pagina (complice la corte
insistente dell’arabia), lasciando l’Inter senza una guida a fine stagione. La società aveva virato su Cesc Fabregas, una scommessa affascinante ma per nulla gradita ai miliardario hartono.
Saltato anche quel tentativo, Marotta ha ripiegato su Chivu. Un ripiego, appunto, più che una visione. Chivu arriva con il patentino della “bandiera”, della conoscenza dell’ambiente, dell’uomo spogliatoio.
Ma a livello tecnico, resta un incognita gigantesca: un solo spezzone di esperienza vera, nessuna pressione ai massimi livelli, nessuna partita internazionale da allenatore. L’unica certezza è che eredita una squadra costruita con intelligenza e pochi investimenti, figlia della creatività sul mercato più che della spesa. L’Inter, oggi, è un mix tra continuità e rischio: la continuità sta nel gruppo, forte e rodato; il rischio, tutto sulla panchina. La scelta di Chivu ha li sapore della scommessa, di una decisione più politica che sportiva. Ese l’Inter vincente degli ultimi anni era figlia dell’equilibrio tra
campo e panchina questo equilibrio sembra essersi incrinato. Marotta ha sempre avuto la fama del dirigente con un piano. Questa volta, il piano Bsembra molto più fragile del solito.
Sono Alessandro Bertolino, appassionato di calcio sin da piccolo e grandissimo tifoso.

