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Giornata della memoria: chi era Arpad Weisz. Dallo scudetto con l’Inter alla morte di Auschwitz

Oggi 27 Gennaio è il giorno della memoria. Tra le tante storie legate ad Auschwitz rientra anche una vicenda legata al mondo del pallone, con un personaggio che si è ritrovato a vivere dai palcoscenici dei campi di serie A ai campi, stavolta quello di concentramento della Polonia, ad’Auschwitz, con una brutale fine. Il protagonista corrisponde al nome di un ungherese, l’allenatore più giovane ad aver vinto uno scudetto in Italia. Raccontiamo la storia di Arpad Weisz.

 

Negli anni 30 il calcio ungherese era il calcio migliore in Europa, Erano due le formazioni di spicco: l’MTK e il Ferenczvaros. Poi c’era un’altra squadra: il Torekves, il cui nome in ungherese vuol dire “sogno ad occhi aperti”. Era guidata da due campioni: l’attaccante Hirzer e l’ala Arpad Weisz.

Arpad Weisz inizia a vivere il suo “Torekves” arrivando in Italia per giocare nell’Inter. E’ fortissimo ma un infortunio lo costringe ad un lungo stop che lo convince ad intraprendere un’altra carriera. Weisz capisce che la sua vera vocazione è allenare ed iniziò proprio dall’Inter.

Scopre un ragazzino di 17 anni, che di nome fa Giuseppe Meazza e vince lo scudetto 1929/30 a 34 anni.

Il “sogno ad occhi aperti” continua…

Lascia l’Inter e, dopo una salvezza con il Bari, arriva a Bologna, la città che lo rende grande, grande come lo stadio della città che il gerarca fascista Arpinati volle per omaggiare Mussolini. Il “Littoriale” faceva 50mila spettatori e aveva un parcheggio da 4mila posti. In quello stadio con Weisz in panchina e Dall’Ara presidente nel 1936 quel Bologna vince lo scudetto. Ma è l’anno seguente il vero anno glorioso del Bologna. Quell’anno si gioca a Parigi, l’Expo, la Champions League dell’epoca, in cui erano presenti anche i maestri inglesi rappresentati dal Chelsea che arriva in finale contro il Bologna. Sembra una partita impossibile, ma il Bologna dà al Chelsea una lezione di calcio e vince 4-1.

E’il 1937, Weisz è il più grande allenatore d’Europa… TOREKVES, sogno ad occhi aperti.

Però la sua vita sta per cambiare, “entra in scena la Storia, arbitraria e crudele, e se un individuo ne è vittima non ha nessuna possibilità”.

Mussolini promulga un’informativa: gli ebrei stranieri, che sono in Italia da dopo il 1919 dovranno abbandonarla. I Weisz devono andarsene, e se ne vanno con un treno direzione Parigi.

Lì Arpad cerca squadra, ma niente. Poi lo chiamano i dirigenti del Dordrecht, una squadra olandese di serie A composta quasi interamente da studenti. Lui accetta e dopo la salvezza del primo anno li porta per due anni di fila al 5°posto, battendo anche il grande Feyenoord.

In teoria l’Olanda non ha i problemi del resto d’Europa, ma i tedeschi sono i vicini di casa, e se vogliono, arrivano in 5 giorni. Ed è quello che succede nel ‘42.

Ora i Weisz non possono più scappare.

Sono costretti ad indossare una grande stella gialla sul cappotto e vengono messi su un treno che li porta a Westerbork, al campo di concentramento olandese. Da qui partono quotidianamente dei treni che vanno verso la Polonia. Sì, perché nel frattempo Hitler ha varato la soluzione finale con cui vuole sterminare gli ebrei.

I Weisz arrivano ad Auschwitz-Birkenau.

All’arrivo gli internati vengono divisi: quelli a destra vanno ad Auschwitz, quelli a sinistra vanno a Birkenau che non è neanche un campo, è un mattatoio in cui morivano 4000 persone al giorno. La moglie Ilona e i figli devono andare a sinistra e dopo qualche giorno trovano la morte nella camera a gas.

Arpad, dopo aver lavorato un po’ in Alta Slesia nelle fonderie, andrà ad Auschwitz, e una mattina del gennaio 1944 lascia la sofferenza di questo mondo e raggiunge la sua famiglia.

Un’altra storia spazzata via dalla follia omicida nazista, senza la quale questo grande uomo non avrebbe mai indossato, sul cappotto, quella stella grande e gialla, ma probabilmente avrebbe indossato quella vinta per il suo decimo scudetto.

(Tratto liberamente dal meraviglioso speciale di Buffa su Weisz)

 

Abbiamo sempre più bisogno di mantenere viva la memoria, per non dimenticare e per non permettere che il ricordo venga infangato con paragoni vergognosi come negli ultimi mesi

 

 

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