Arrigo Sacchi si è raccontato in una lunga intervista a Eurosport Francia. Dal passato all’attualità, sono tanti i temi affrontati dal grande ex tecnico del Milan che rivoluzionò il calcio alla fine degli anni ’80. Il calcio offensivo e propositivo è stato sempre il suo marchio di fabbrica, e in Serie A oggi molte squadre stanno seguendo i suoi insegnamenti, come dimostrano i tanti gol realizzati negli ultimi mesi: “Prima di tutto, vorrei dire che ne sono molto felice. Il nostro modo di vedere il calcio è il riflesso della storia e della società di un Paese. In Italia, purtroppo, è dai tempi dei romani che non attacchiamo. Ogni tanto ci abbiamo anche provato, ma invano. Abbiamo praticato un calcio prudente, difensivo e tattico. La nostra forza è stata la tattica, più che la strategia: ci hanno detto che era sufficiente per vincere. Ad esempio, un club come la Juventus ripete sempre che vincere è l’unica cosa che conta. Volendo vincere a tutti i costi, rinnega tutti i valori della vita. Questo non ha permesso, in parte, al nostro calcio di evolversi. Io parlo di merito, di bellezza, di emozione, spettacolo e armonia. L’ottimismo non è vivere nel passato, ma nel futuro”.
Evoluzione e rivoluzione: “Penso che nel tempo abbiamo imparato ad acquisire più cultura. Più in generale, attualmente viviamo in un mondo che non sarà mai più lo stesso. È una rivoluzione, non un’evoluzione. Rimango convinto del legame forte che esiste tra calcio, cultura e vita. I padri fondatori del gioco hanno pensato a uno sport di squadra e offensivo. In Italia il calcio aveva perso questa immagine. Si era trasformato in uno sport difensivo e individuale e il catenaccio non è uno stile. Poi può essere che anche l’opinione pubblica italiana abbia progredito nel suo pensiero. Prima si viveva ancora in epoca preistorica. Allo stadio, spesso e volentieri, ti cantavano: ‘Devi morire’. Era la ripetizione di una cosa che potevi sentire 2000 anni fa dentro le arene. Simboleggiava un’evoluzione ancora da fare”.
Conta la testa, non la tecnica: “Io non ho mai guardato i piedi dei miei giocatori. Ho guardato il loro spirito, la loro disponibilità, la loro modestia, la loro intelligenza e il loro entusiasmo. Non volevo giocatori con valori contrari a uno sport di squadra, come l’eccesso di individualismo, la gelosia o anche l’avidità. Penso che anche il mondo si stia muovendo in quella direzione. Oggi, il pubblico va allo stadio e può giudicare una vittoria. Se è inutile, rimarrà nei libri ma mai nei cuori e nelle menti delle persone”.
Fonte: Eurosport Francia
Redattore, appassionato di calcio italiano ed estero… Curo e seguo con molta attenzione tutti i migliori campionati esteri.