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1978: l’Argentina e il Mondiale del terrore

Nel Giugno del 1978 in Argentina si giocò il mondiale più controverso della storia. Nessuno in quel momento poteva sapere che dietro lo spettacolo del calcio si nascondeva un’atroce verità

Che la nazionale di calcio potesse fungere da strumento di propaganda per la neo-instaurata giunta militare argentina, lo si capì sin dal giorno del colpo di stato.

Il 24 Marzo del 1976, mentre i generali approfittavano della crisi del peronismo, dell’inflazione e del terrorismo e attuavano un silenzioso golpe ai danni della presidentessa Isabel Perón (succeduta al defunto marito Juan Domingo), la selección albiceleste era impegnata in un’amichevole in Polonia.

Quel giorno furono oscurate tutte le trasmissioni radio-televisive tranne la partita.
Quattro mesi dopo, il Mondiale fu dichiarato evento di interesse nazionale e a Dicembre fu fondata l’EAM (l’ente statale per il controllo del mondiale).

Nel frattempo il governo stanziava 800 milioni di dollari per stadi, opere urbanistiche e trasmissioni televisive senza porsi la necessità di un loro ritorno: non era quello lo scopo. L’obiettivo era invece quello di far dimenticare al paese e nascondere al mondo quello che molti sospettavano ma che nessuno poteva sapere: la violazione dei diritti umani e il terrorismo di stato nella logica della Dottrina della Sicurezza Nazionale.

Una repressione a macchia d’olio che eliminava ogni sovversivo o presunto tale.
In Argentina i paramilitari sequestrarono tra le 10.000 e le 30.000 persone per torturarle, ucciderle e farle sparire nel nulla, talvolta gettandole nell’Oceano. (desaparecidos)
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Fa particolare impressione sapere che il principale centro di detenzione fosse l’ESMA (Escuela de Mecánica de la Armada), che si trova tutt’ora a Buenos Aires (oggi è un museo della memoria) a meno di due chilometri di distanza dallo Stadio Monumental.

Solo quì vennero torturate 5000 persone, anche durante le partite dei mondiali di calcio.
Dal punto di vista calcistico, il mondiale argentino fu tra i più appassionanti e partecipati. Fu inaugurato da Videla l’1 Giugno allo stadio Monumental, con un discorso in cui il presidente dichiarava che la sua Argentina rappresentava un ideale di “pace che tutti auspicano per tutte le persone del mondo”.
La nazionale di casa era allenata da Menotti, dichiaratamente uomo di sinistra.
Il regime aveva deciso che all’ingresso in campo i giocatori dell’albiceleste avrebbero dovuto salutare i rappresentanti della giunta in tribuna d’onore (imitando la prassi in uso durante i mondiali di calcio italiani del 1934).

Molti calciatori di quella nazionale raccontano che Menotti chiedeva loro di salutare con lo sguardo rivolto ai tifosi, perché loro avrebbero dovuto giocare per la gioia degli argentini e non per i governanti. Nonostante ciò fu forte la delusione di molti argentini che si aspettavano da Menotti, intoccabile dopo la vittoria del mondiale, una parola di dissenso al regime che non arrivò mai.

Come spesso accade, i padroni di casa furono accusati di favoritismi. In questo caso i sospetti furono avallati dal fatto che più di altre volte il governo del paese ospitante aveva bisogno, a scopi propagandistici, di una nazionale vincente.
La partita più controversa del mondiale fu senza dubbio Argentina-Perù, giocata a Rosario il 21 Giugno.

Per una particolare combinazione di risultati, l’Argentina avrebbe dovuto vincere con almeno quattro gol di scarto per superare il turno e qualificarsi alla finale. Il risultato fu ancora più netto: 6-0, e la partita passò alla storia come marmelada peruana. Anni dopo il portiere peruviano Quiroga, responsabile in diverse reti argentine, dichiarò a un emittente televisiva peruviana che la sua squadra avrebbe potuto dare di più.

In finale l’albiceleste trovò l’Olanda: autentica rivelazione del calcio degli anni ’70.

La partita “una di quelle che vorresti non finissero mai”, come disse Liedholm intervistato nel post-partita. La spuntarono i sudamericani ai tempi supplementari grazie ai gol di Kempes e Bertoni e al “patriottismo del palo”, come scrisse Eduardo Galeano, che a tre minuti dalla fine respinse la palla che avrebbe dato la vittoria agli olandesi.
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I festeggiamenti furono densi di polemiche. I giocatori olandesi si rifiutarono di ricevere le medaglie del secondo posto dai militari argentini.

Mario Kempes, il giocatore più emblematico di quel mondiale, a fine partita non strinse la mano a Videla. Inizialmente si giustificò dicendo che nella confusione non l’aveva visto. Anni dopo rivelò che quella mano proprio non gliela voleva dare.

Le celebrazioni che coinvolsero Buenos Aires durarono settimane. Ben pochi avrebbero creduto che proprio in quei momenti di festa stavano venendo torturati e uccisi dalla giunta militare migliaia di cittadini argentini.

Giordano D’Angelo

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