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Storia del calcio: lo sport nell’antichità

E’  importante riscoprire il passato e apprendere che ci sono stati  dei periodi in cui il vocabolo sport poteva venir scritto con una meravigliosa

“S” maiuscola. Non sempre è stato così, la coscienza sportiva è stupenda, l’identità sportiva è pura, e a questo mondo quanto è stupendo e puro ha sempre subito e sempre subirà attacchi anche violenti, ma poi risorge, i valori, i principi si riaffacciano puntualmente sul palcoscenico dell’umanità, perché quanto è puro, autentico, straordinario, vero, pregno di valori fondamentali, ha una forza incredibile, lo possiamo opprimere, allontanare, snaturare, ma mai potrà essere eliminato.

 IL CALCIO NELL’ANTICHITA’

 Il calcio fiorentino ispirò il calcio moderno inglese, pertanto tutto il calcio attuale ha le sue radici a Firenze.

E gli storici del calcio indicano anche una data: il 1479. Nel maggio di quell’anno abbiamo la prima partita a Firenze, i giocatori delle squadre vennero scelti dallo stesso Leonardo.

Il genio italiano ha dedicato molte delle sue opere al calcio e anche ad altre discipline sportive. Numerosi sono gli schizzi dedicati alla lotta, al lancio del peso e dell’asta, alla ginnastica, alla scherma. Comunque le immagini più interessanti di Leonardo sono quelle dedicate al calcio.

Ci sono anche degli appunti davvero incredibili, Leonardo già immaginava come sarebbe stato il calcio moderno e profetizzò la violenza tra gli spettatori negli stadi. Leonardo amava lo spirito dei giochi nell’antica Grecia  e desiderava che nel gioco del calcio ci fossero lealtà, virtù e onore.

E nell’antica Grecia ci sono le origini del calcio fiorentino.

Esistono alcuni bassorilievi che raffigurano i calciatori impegnati nei palleggi. Il gioco si chiamava “episciro”, in un altro gioco simile, “pheninda”, era ammesso l’uso delle mani. Durante le campagne di conquista del II  secolo a.C., i romani conobbero e apprezzarono molto questa attività ludica. L’episciro venne modificato dai romani e fu denominato “harpastum”. Il gioco ebbe grande diffusione in tutto l’Impero romano. “Harpastum” era anche il nome della palla, che molto probabilmente era riempita di lana. Era un gioco abbastanza violento e anche pericoloso. Commediografi e letterati dell’antichità nelle loro opere lo descrissero. In quanto al regolamento del gioco si sa molto poco.  Il numero dei giocatori poteva anche essere numeroso.

Nell’antichità il calcio  veniva giocato anche  in Giappone, era denominato   Kemari. Nel VII secolo il gioco era molto diffuso in tutto il Giappone. Veniva praticato anche nella corte imperiale. Si hanno notizie di questa attività già in un testo del VI secolo, ma è nel XIII  secolo che il Kemari ottiene grande successo e grande popolarità.

E’ interessante far notare, che, a differenza di altri antenati dedel calcio, il Kemari non era competitivo e i giocatori collaboravano tra loro. Il Kemari è tuttora praticato nei Santuari Scintoisti. Nel XIII secolo il Kemari ebbe un regolamento ben preciso.

Il pallone doveva rimanere il più possibile in aria, non doveva toccare il terreno. I giocatori potevano usare i piedi, la testa, le ginocchia, la schiena e anche i gomiti, ma assolutamente non le mani. Potremmo trovare delle analogie con la pallavolo. Il campo in cui veniva praticato il Kemari era molto piccolo, si trattava di un quadrato che aveva 6 metri per lato. Agli angoli del quadrato c’erano delle piante, che rappresentavano le stagioni.

Le piante avevano una loro funzione, dovevano venir potate e ben curate, al fine di poter rimandare la palla al campo di gioco, nel caso fossero state da essa colpite. La partita aveva come scopo il conseguimento di un buon punteggio, senza aver fatto mai cadere la palla a terra. Un arbitro contava il

numero dei passaggi e quelli più notevoli facevano aumentare il punteggio.

Velocità, capacità di gestire bene gli spazi, abilità nella strategia e soprattutto la lealtà  venivano valutati dall’arbitro ai fini del punteggio. La palla, denominata “Mari” era  fatta di pelle di cervo e riempita di chicchi di orzo. Nello stesso periodo in cui in Giappone si praticava il Kamari, in Cina era molto popolare il tsu-chu, che alcune fonti fanno risalire addirittura al 2600 a.C.. Era anche un allenamento per i militari.

Il termine Tsu significa ‘calciare la palla con i piedi’, Chu può avere la seguente traduzione: palla di cuoio riempita. E’ stato tramandato che l’imperatore Wudi, appartenente alla dinastia Han, fosse un grande appassionato di calcio e giocava lui stesso.

La palla era riempita con capelli femminili, la porta era costituita da due canne di bambù a poca distanza l’una dall’altra, il campo era rettangolare.

Sono stati ritrovati degli antichi documenti in cui ci sono dei riferimenti a partite di calcio giocate da squadre giapponesi e cinesi, che spesso si confrontavano.

Nell’America centrale c’erano dei giochi con la palla che possono avere qualcosa in comune con il calcio attuale. Nella civiltà Maya il gioco della pelota faceva parte delle cerimonie religiose. I terreni di gioco sono ancora visibili nei siti archeologici.

Di solito il campo era lungo 100 metri e largo 40, comunque i campi potevano essere anche piccoli, nella penisola dello Yucatan è stato scoperto un antichissimo terreno da gioco, risalente a 500 anni prima della nascita di Cristo. Questo campo è lungo 25 metri e largo 4,5 metri. Ai lati del campo venivano costruite due pareti. Assai in alto, su queste pareti, c’erano gli anelli, attraverso i quali la palla doveva passare. Le partite erano sempre unite a cerimonie di sacrifici agli dei. Il gioco, denominato “pitz”, era una spiegazione della nascita del Sole e della Luna, avvenute dopo una partita.

Le pareti delimitanti il campo erano adornate con degli affreschi, che ancora ai nostri giorni si possono ammirare negli scavi archeologici.

Alla fine di ogni partita alcuni giocatori venivano sacrificati agli dei. Secondo alcuni studiosi erano i perdenti, ma altri studiosi sostengono che fossero offerti in sacrificio i vincitori.

Anche per gli Atzechi l’antenato del calcio aveva significati religiosi. Il gioco era denominato ullamalizti, il terreno da gioco era denominato tlachtli.

Daniela Asaro Romanoff

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