In quella deliziosa parabola disegnata da Stephan El Shaarawy c’è tutto il talento dell’attaccante giallorosso di origine egiziane. Lui, che dal punto di vista tecnico somiglia al miglior cashmere, capace di giocate da occhiali da sole per quanto sono abbacinanti. Lui che non disdegna l’entrata tosta, intelligente a tal punto di mettersi a disposizione con estrema efficacia anche quando il suo allenatore gli affibbia compiti di copertura. Ancora lui, che il gol ce l’ha ne sangue eccome anche se, spostato sulle zone di confine, certo non può marciare a ritmi da T-Rex dell’area di rigore. Quindi, segna, ha tecnica e talento, non disdegna l’entrata se serve e sa coprire.
E allora perché non è sul tetto del mondo? Perché la Roma non l’ha ancora venduto a peso d’oro? In un’intervista per il “Quotidiano Nazionale” alla fine della scorsa stagione, spiegandomi quanto fosse piccolo il serbatoio della continuità, della capacità di raggiungere un certo livello alto, evidentemente a contrasto con l’incapacità di mantenerlo per lungo tempo. Se ci pensate, è un bel paradosso: il giocatore discontinuo che trascina la Roma alla disperata ricerca di continuità, la per niente magnifica ossessione di Eusebio Di Francesco.
Sincero, per bene, fortissimo, El Shaarawy si sta ripetendo ai ritmi del suo arrivo a Roma, nel gennaio 2016 quando segnò 8 gol in 16 partite diversi dei quali bellissimi. Adesso è a quota 5 in 10 partite e in qualche modo, pur lontano diversi mondi come caratteristiche, ricorda la vita e le opere di Marco Delvecchio in giallorosso. Stessa intelligenza tattica, stessa capacità di mettersi a disposizione. Dunque ora Stephan El Shaarawy è sempre lì. Segna, esulta e timidamente abbassa lo sguardo quando è intervistato, pensando alla Nazionale che gli manca da morire. Sicuri che uno così non faccia comodo al Mancio?
Redattore, appassionato di calcio italiano ed estero… Curo e seguo con molta attenzione tutti i migliori campionati esteri.
