Vantaggio fulmineo dei giallorossi, cui segue una prima frazione in totale balìa dell’avversario, che va al riposo sull’1-3. Pari acciuffato nel finale.
L’esordio davanti al pubblico amico della Roma pareva iniziare sotto i migliori auspici: al primo affondo infatti, Pastore è il più lesto di tutti ad avventarsi sul pallone, pronto a girarlo in rete con un pregevole colpo di tacco. Schierato inizialmente come terzo di sinistra nel tridente El Flaco, che rappresenta il principale colpo della mini-rivoluzione operata da Monchi in estate, risulta però poco avvezzo alla collocazione prevista per lui da Di Francesco, che a Torino lo aveva presentato nei tre di centrocampo.
Nella settimana intercorsa fra il successo di Torino e l’esordio in casa, la Roma ha salutato Kevin Strootman: quello che era l’acquisto più longevo dell’era-Pallotta, ha fatto i bagagli in direzione Marsiglia, pronto a riabbracciare il vecchio maestro Rudi Garcia. La mediana prevede così il duo Pellegrini – Cristante ai fianchi di capitan De Rossi: ciò che emerge però, da un primo tempo negativo in toto per i giallorossi, è una zona nevralgica totalmente in possesso dei nerazzurri di Bergamo, che pure avevano disposto un massiccio turnover in vista della trasferta di Copenaghen, valida per l’accesso ai gironi di Europa League.
A conferma di queste evidenze, al rientro dagli spogliatoi la Roma viene ridisegnata secondo un più logico – o quantomeno funzionale – 4-2-3-1: Nzonzi affianca De Rossi in mediana, Pastore prende posto tra le linee, Kluivert restituisce a Kolarov la possibilità di dialogo in fascia.
Al netto di una condizione fisica che premia giocoforza l’Atalanta, partita in anticipo su tutti per le fatiche estive a causa dei preliminari di Europa League, nella ripresa la Roma fa pesare la sua qualità, ora sostenuta da un maggiore equilibrio. L’impatto del francese neocampione del mondo è positivo: arrivato per 25 milioni dal Siviglia, occorrerà che tale spesa sia giustificata da una centralità nel progetto tattico romanista.
Anche Gasperini prova a cambiare qualcosa proponendo, con l’inserimento di Hateboer per Pessina, una sorta di 3-4-3 atto a limitare il raggio di azione di Kolarov sul versante sinistro: la scelta risulterà però nefasta, anche per la poca propensione di Pasalic al lavoro oscuro cui si era prestato fin lì il giovane prodotto del vivaio bergamasco. Così la Roma trova spazio nella trequarti avversaria e, grazie ad una scorribanda di Florenzi avvenuta sul fronte opposto a quello temuto dal tecnico atalantino, riapre il match.
Nell’ultimo terzo di gara la Roma spinge, sostenuta anche dal pubblico accorso numeroso in questo atipico lunedì d’agosto. Le occasioni fioccano, da Dzeko a Under passando per Schick, subentrato per un infortunio occorso proprio a Florenzi. Qui, di nuovo, la Roma cambia: Schick affianca Dzeko in avanti, mentre Kolarov completa il pacchetto a 3 a protezione di Olsen.
La scelta non si rivela granché fruttuosa: la ristabilita parità in corsia da’ respiro all’Atalanta, che costruisce una palla-gol monumentale cestinata da Zapata (interrotta ad onor del vero dall’intervento dell’arbitro, successivamente). Ad ogni modo la Roma acciuffa il pari: Manolas, dopo una gara in costante affanno sul gigante colombiano (fantozziano l’errore sul temporaneo 1-2), si avventa su un piazzato messo dentro da Pastore e deposita in rete il definitivo 3-3.
L’addio di Strootman rimane una scelta poco comprensibile, a mercato in entrata chiuso; il cospicuo numero di centrocampisti (i giovani Coric e Zaniolo, a questo punto, vanno considerati come veri effettivi) in rosa pare una motivazione poco consistente, tenendo conto della celerità con la quale si muovono gli umori della piazza di Roma (subissata di fischi al rientro negli spogliatoi dopo la prima frazione). A Di Francesco il compito di amalgamare questo nuovo tessuto: il suo 4-3-3 rischia di dover passare in secondo piano, la squadra pare costruita su di un abito diverso.
