Marco Fassone, amministratore delegato del Milan, si è reso protagonista dall’estate scorsa di una serie di promesse e rassicurazioni che non hanno avuto seguito e ora, dopo tanti mesi dall’ingresso in società dei cinesi, il Milan è alle prese con un futuro, sia sportivo che finanziario, del tutto incerto.
Riportiamo l’articolo pubblicato su Repubblica.it che ripercorre la vicenda Milan con particolare riguardo alla figura di Marco Fassone.
Il rifinanziamento del prestito di Elliott? “Entro inizio anno”, “entro fine marzo” e poi “si farà”.
Parola di Marco Fassone, amministratore delegato del Milan che ancora brancola nel buio e continua la sua spola con Londra alla ricerca di fondi.
E ancora, “Uefa? Sono ottimista”, salvo poi passare al contrattacco dopo il fallito voluntary agreement: “Ci hanno fatto richieste impossibili”. Come, per esempio, dimostrare la capacità della proprietà di finanziare il club e le perdite che il club farà nei prossimi anni attraverso una garanzia bancaria: una richiesta certo complessa che diventa impossibile quando non si sa a chi faccia capo la proprietà.
I risultati sportivi stanno migliorando, la qualificazione alla prossima Champions League non è irraggiungibile, ma sulla società – che brucia 8-10 milioni di euro al mese – restano numerose ombre.
Fassone ha fatto della trasparenza una missione, ma dimentica di essere stato lui stesso ad alimentare le aspettative sugli ignoti cinesi.
A cominciare da quando aveva illuso i tifosi sull’ingresso in società di una bandiera come Paolo Maldini.
D’altra parte Fassone è lo stesso manager che a inizio 2013, quando era dirigente dell’Inter parlava così dello stadio neroazzurro: “Abbiamo una rosa di tre possibili sedi. In questi mesi stiamo esaminando gli aspetti finanziari dello stadio e cercheremo di chiudere questa fase e tutta questa procedura entro il 2013”.
L’impianto avrebbe dovuto essere completato entro il 2019. L’Inter però continua a giocare a San Siro e non esiste alcun progetto per un nuovo stadio.
Ed è lo stesso che ai tempi della Juventus si fece fotografare con in mano la maglietta che sbeffeggiava l’Inter del triplete: “Meglio un anno senza tituli, che una vita da ridiculi”. Dopo due anni, come nulla fosse, approdò alla corte di Massimo Moratti.
Intendiamoci, il club non rischia nulla: non fallirà e troverà una nuova proprietà quando (e se) Yonghong Li farà un passo indietro; il club è l’unico asset a garanzia dei 303 milioni prestati da Elliott e per questo verrà protetto ad ogni costo.
E’ però paradossale che a un anno di distanza dal closing tutti sia ancora avvolto nel mistero.
Anche per questo chi rischia davvero è l’attuale dirigenza: con un cambio di proprietà, molto probabilmente, la prima testa a cadere sarebbe quella di Fassone. Elliott guiderebbe una fase di transizione chiamando un manager di sua fiducia.
Anche per questo il dirigente piemontese si sta dannando l’anima alla ricerca di qualcuno che rifinanzi il debito di Yonghong Li: una missione tutta in salita dopo che – come ha riportato La Stampa – alcuni manager delle più importanti banche d’affari hanno definito lo sconosciuto imprenditore cinese non credibile per “motivi reputazionali”.
In un contesto normale Fassone si occuperebbe solo di rifinanziare il Milan – operazione per la quale c’è la fila davanti alla sede -, ma la lontananza dalla vicenda dell’azionista spiega l’attivismo del manager a favore della controllante.
Fassone ripete che non c’è alcun problema, eppure è stato il cda del Milan ha chiedere a Yonghong Li di anticipare i versamenti necessari all’aumento di capitale.
Una mossa che ha destabilizzato il mercato, ma con la quale il manager cerca – probabilmente – di prendere le distanze dalla proprietà per giocarsi un ruolo in futuro (se c’è piena fiducia nell’azionista perché chiedere un anticipo quando sono note le difficoltà con cui i soldi arrivano al Milan?).
Di certo Fassone è uno dei tanti, insieme agli advisor, che non si è mai preoccupato di verificare la reale capienza di Yonghong Li, anzi: nei mesi caldi dell’operazione raccontava che fosse un ricco miliardario anziché un semplice collettore di fondi.
Per settimane ha lasciato credere che il governo di Pechino fosse coinvolto nell’operazione Milan, quando al fianco di Li c’era solo Haixia, piccolo fondo della provincia di Fujian e nel cda siede Xu Renshuo, legato ad Hainan (società invisa al governo). E ancora, nel curriculum di Li pubblicato dal Milan – quindi supervisionato da Fassone – si legge che è “il socio di maggioranza della Guizhou Fuquan Group, proprietaria della più grande miniera di fosforo cinese.
Il Gruppo si occupa principalmente di estrazione, lavorazione e vendita di prodotti di fosforo. È stata premiata come ‘China Top Brand’ e ‘Product Exempted from Quality Surveillance Inspection’. La miniera ha una riserva di circa 200 milioni di tonnellate e una produzione di approssimativamente 3 milioni di tonnellate all’anno”.
La miniera, però, non esiste. O meglio, non è di Li.
Fassone, nel segno della trasparenza, tace, così come ha scelto la strada del silenzio dopo che la Procura di Milano ha aperto un fascicolo contro ignoti sulla vendita del Milan, ipotizzando che ci sia stato un riciclaggio di denaro.
Fonte:La Repubblica.it
Foto Sportmediaset.it
