Sono passati 40 anni dal celeberrimo mondiale d’Argentina e ancora si parla del famoso “biscotto” ai confezionato dai padroni di casa e dal Perù ai danni del Brasile.
La partita finì 6-0 per gli argentini e i brasiliani furono costretti ad abbandonare il torneo che, molto probabilmente, avrebbero vinto.
Il Corriere della Sera.it ricorda i fatti di allora e ricostruisce i fatti secondo le dichiarazioni del peruviano Velàsquez che ammette che la partita fu venduta agli argentini e indica anche i nomi dei calciatori coinvolti.
La «marmelada peruana», la marmellata peruviana, 40 anni dopo: emergono i nomi dei giocatori del Perù che, ai Mondiali del 1978, vendettero la partita all’Argentina.
Insomma, il classico biscotto alla sudamericana. Li ha fatti, o meglio ne ha fatti quattro su sei, l’ex centrocampista José Velásquez che, quella sera, era in campo.
Oggi 65enne, Velásquez ha raccontato al quotidiano Trome che il c.t. e «i dirigenti si vendettero la partita, molti vi hanno indagato. Il fatto che non ci siano prove non significa che non sia successo – ha spiegato – E anche sei giocatori si sono venduti, ma posso nominarne solo quattro perché ce ne sono due famosi e danneggerei le loro carriere: sono Rodulfo Manzo, Raúl Gorriti, Juan José Muñante e Ramón Quiroga». Gorriti è l’uomo che, appena entrato in campo, perse la palla dando il via alla rete finale.

Fatti: la finalista uscirà da due gironi di quattro squadre; da una parte sola si trovano l’Argentina, il Perù, la Polonia e, soprattutto, il Brasile; passa solo la prima qualificata, dritta in finale; i risultati delle partite obbligano gli uomini di Menotti a battere il Perù (e passi) con almeno tre gol di scarto (e passi) segnando almeno cinque reti (e qui si fa dura) per scavalcare il Brasile per differenza reti; il Perù ha in porta… un argentino, appunto Quiroga.
Che nel 6-0 che portò l’Argentina alla finale, vinta poi 3-1 ai danni dell’Olanda, ci fosse molto più che qualcosa di sospetto lo si sa praticamente dal giorno dopo l’incontro. Quiroga o non Quiroga (che non giocò particolarmente male, ma che negli anni successivi, a fronte di troppo rum, si lasciò sfuggire indiscrezioni), più volte in molti hanno parlato di aiuti promessi da Buenos Aires a Lima (e di un milione di tonnellate di grano recapitate a stretto giro di posta nel paese andino) , di scommesse con l’intervento dei narcotrafficanti colombiani, di un intervento negli spogliatoi dello stesso Videla accompagnato dal segretario di Stato americano Henry Kissinger.
«In sei, prima della partita, andammo dal c.t. Marcos Calderón a chiedergli di non schierare Quiroga – ha ribadito Velásquez – Lui ce lo promise. E poi il giorno dopo lo schierò titolare: che avremmo dovuto pensare? Che era venduta o no?».
Fatto sta che Calderón andò anche oltre, sostituendo all’intervallo proprio Velásquez, normalmente padrone indiscusso del centrocampo, tanto da essere soprannominato «El Patrón».
L’Argentina era in quel momento ancora fuori dalla finale.
È anche vero che il giocatore e il selezionatore avevano problemi di relazione da tempo, ma uscendo quella sera Velásquez apostrofò il c.t.: «Lo insultai: “Perché c…o mi togli”, e lui mi rispose perché ero già ammonito. Anche se non importava, perché era la nostra ultima partita».
Alle parole di Velásquez fa eco anche il compagno di reparto Germán Leguía, parlando della formazione: «Calderón mandò in tribuna Guillermo La Rosa e Hugo Sotil, che erano l’unico cambio fisso della nostra Nazionale.
Li mandò a riposare. Riposare per la partita successiva?» e racconta che il Brasile aveva offerto un premio di diecimila dollari a tutti, non solo a chi fosse sceso in campo, se avessero perso per non più di tre a zero, ma che l’offerta fu rifiutata.
«Al termine della partita avrei anche voluto lasciare la Nazionale».
fonte CorrieredellaSera.it
Foto: Contrataque
