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editoriali

Effetto Gattuso: il diavolo è in buone mani.

Nelle ultime stagioni, il Milan ci ha abituato ad abbandonare l’idea di quella squadra sempre in lotta per la vittoria del campionato e con una particolare propensione per la dimensione europea.

Dopo gli anni dei grandi successi in Italia ma soprattutto in Europa, ultimo dei quali nel 2007 durante la finale “di rivincita” contro il Liverpool di Benitez, i rossoneri si sono resi protagonisti solamente della vittoria di un campionato nel 2011 e di una supercoppa italiana nel 2016. Decisamente poco per una squadra che nei precedenti 25 anni aveva portato in bacheca 7 scudetti, 1 Coppa Italia, 6 Supercoppe italiane e, a livello internazionale 5 fra Coppe campioni e Champions League, 5 Supercoppe europee, 3 tra Coppe intercontinentali e Mondiali per club.

Lo scorso anno, l’avvicendamento nella proprietà sembrava aver fatto tornare l’entusiasmo nel popolo milanista. Dopo gli iniziali malumori per le poche garanzie e per le tante ombre che l’entourage cinese si portava dietro, il mercato della scorsa estata sembrava aver messo tutti d’accordo: 11 giocatori nuovi per una spesa complessiva intorno ai 200 milioni di euro. Le perplessità dei tifosi e degli addetti ai lavori sulla mancanza di liquidità della nuova proprietà era presto smentite e le lacune tattiche, che la squadra aveva messo in luce nell’anno precedente, sembravano essere definitivamente colmate. Fassone e Mirabelli, rispettivamente amministratore delegato e direttore sportivo, erano improvvisamente diventati i nuovi top player tanto attesi.

L’inizio della stagione, con le vittorie nei preliminari di Europa League e i primi punti in campionato, sembrava aver consegnato al Diavolo il pass per un ritorno tra le grandi squadre. Un percorso così facile però sarebbe stato in contrasto con la dura legge del calcio, e della vita, per cui quando cambi troppo e troppo in fretta rischi di crollare nel giro di poco.

 

Infatti, in poche partite il Milan cade a piombo ed inanella una serie di risultati negativi culminati con l’esonero del mister Montella. Il 27 novembre 2017, dopo la partita con il Torino e prima di quella con il Benevento, la società rossonera annuncia attraverso il suo profilo Twitter l’esonero del tecnico campano. Trovare il capro espiatorio nell’allenatore è sempre stata nel calcio la via più breve con la quale le società hanno cercato di risolvere i problemi delle squadre. Dopo uno storico non invidiabile di 33 vittore, 14 pareggi e 17 sconfitte tra campionato e coppe, finiva quindi la storia tra l’areoplanino e il Milan e iniziava quella tra Gennaro Gattuso e la sua squadra del cuore.

L’esperienza del tecnico calabrese non parte certo col piede giusto, impattando in un pareggio a dir poco rocambolesco con l’ultima in classifica che, fino a quel punto, aveva totalizzato la bellezza di 0 punti. Tutti già si chiedevano: è Ringhio l’uomo giusto per ripartire? Cosa ha Gattuso più di Montella? Non si creerà maggiore confusione con un ulteriore cambio?

 

A tutte queste domande la risposta è stata data sul campo. Gattuso ha dimostrato due cose: 1- che il gruppo conta più dei singoli; 2- che la motivazione è la spinta più grande verso l’ottenimento di risultati. Non parliamo di un allenatore rivoluzionario come fu all’epoca Sacchi, non si parla nemmeno di un mago della tattica come è Guardiola, ne tantomeno di un tecnico che fa del tatticismo il suo punto di forza come può essere Sarri. Si tratta di una persona, con la testa sulle spalle, che ha preso in mano la situazione ed ha capito il problema trovando la soluzione: semplicità ed organizzazione.

Non è invenzione di chi scrive che il Milan nelle ultime 7 gare di campionato, oltre ad un rendimento progressivamente crescente, abbia realizzato altrettanti risultati positivi. Non è senza rilevanza il fatto che nelle ultime 7 gare la squadra rossonera abbia totalizzato 17 punti sui 21 disponibili, trovandosi al sesto posto e a 8 punti dal quarto. Senza aver considerato poi che la squadra ha passato un sedicesimo di Europa League ed ora si trova agli ottavi di finale.

 

Possiamo considerarlo un caso? Può considerarsi frutto di una coincidenza il miglioramento dei giocatori più attesi come Bonucci, Biglia e Chalanoglu che con Montella sembravano la brutta copia di loro stessi?

 

Ad opinione di scrive la risposta è semplice, immediata e negativa. Nel calcio sono due le cose che fanno la differenza: la motivazione e l’organizzazione.

 

Adesso la squadra è chiamata ad affrontare 6 partite ad alto coefficiente di difficoltà, dal 25 febbraio al 15 marzo: Roma in campionato; Lazio nella semi-finale di ritorno della Coppa Italia; Inter in campionato; Arsenal nella gara d’andata degli ottavi di Europa League; Genoa in campionato; Arsenal nella gara di ritorno degli ottavi di Europa League. Diciotto giorni di fuoco, che valgono una stagione. Diciotto giorni che ricordano quelli che i tifosi milanisti sono sempre stati abituati a vivere: pressione e competizione ad alto livello.

 

Gattuso sembra aver preso la strada giusta: il diavolo è in buone mani.

 

Eugenio Arnone

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